0

Pubblicato un nuovo contributo sulla storia delle biennali di liuteria ad Ortona.

Le biennali di liuteria ad ortona, 1983-2009: Il lato etnomusicale  della organologia popolare di Domenico Di Virgilio

Le mostre ‘Liuteria nel Mezzogiorno’ furono organizzate ad Ortona dal 1983 al 2009 con cadenza biennale per un totale di quattordici edizioni. Furono principalmente una iniziativa di Francesco Sanvitale e del maestro liutaio ortonese Salvatore Valentinetti. Ricordiamo che sempre nel 1983 Francesco Sanvitale e il rag.Tommaso Caraceni avevano avviato l’Istituto Nazionale Tostiano.

L’idea che mosse l’organizzazione delle biennali si legge negli atti relativi al convegno sulla ‘Liuteria nel Mezzogiorno’ tenutosi nell’ambito della seconda edizione (nota: F. Sanvitale 1989) e soprattutto in una relazione preliminare al progetto elaborata da Alberto Leydi, Francesco Sanvitale e Marco Tiella, sempre a data 1989. Il progetto prevedeva la ricerca e la documentazione sull’arte liutaria nel mezzogiorno la cui storia: “non è documentata in opere bibliografiche specifiche, ma solo in pubblicazioni artistiche di singoli capolavori – pur essendovi – indicazioni della presenza di liutai a partire dal secolo XV.” (A. Leydi, F. Sanvitale, M. Tiella 1989, pag. 4). Il lavoro doveva perciò iniziare dalla raccolta di informazioni su una produzione artistica di lungo periodo e grande spessore in cui esaminare “il peso dell’immagine popolare rispetto a quello dell’immagine culta anche nella produzione, commercio ed uso di strumenti ad arco.” (A. Leydi, F. Sanvitale, M. Tiella 1989, pag. 4.). Ne consegue che: “Data l’ampiezza del territorio e le assai diverse specificità storico-culturali, è ammissibile – per ora in via ipotetica – che la produzione e l’uso di strumenti ad arco non abbia avuto né matrice, né sviluppi omogenei. Nonostante l’avviamento di alcuni studi da parte degli studiosi dell’etnomusicologia, non è possibile allo stato dei fatti avere un quadro sufficientemente completo della situazione, tale che consenta la proposta di precisi indirizzi di ricerca specialistica.” (A. Leydi, F. Sanvitale, M. Tiella 1989, pag. 5).

Le Biennali ebbero subito il sostegno dell’ ISMEZ (Istituto Nazionale per lo Sviluppo Musicale nel Mezzogiorno), del Comune di Ortona, delle istituzioni liutarie di Cremona e di diversi enti ed istituzioni accademiche abruzzesi.

A parlarne oggi, col senno di poi, queste iniziative ci appaiono come risultato di una concomitanza di fattori quali l’impegno e la capacità delle singole persone, ma anche della volontà di istituzioni e delle circostanze in qualche modo favorevoli; qualcosa che però riuscì a ripetersi per più di venti anni. Uno dei risultati che a me sembrano più interessanti dei presupposti programmatici su cui le biennali nascevano fu l’accostamento, nelle mostre nelle conferenze e nei concerti dal 1989 in poi, del lato colto e del lato popolare della musica; di realtà espressive, di modi di far musica e di percepirla, che hanno sempre convissuto, a volte ignorandosi ma più spesso nella piena consapevolezza l’uno dell’altro. Ed insieme la volontà di porre attenzione all’organologia della musica etnica in un percorso storico che non può escludere l’uno o l’altro aspetto della musica in quanto, in quel momento lo stato della ricerca sembrava escludere ‘matrici e sviluppi omogenei’.

L’esperienza delle biennali di ‘Liuteria nel Mezzogiorno’, ed in particolare delle sezioni dedicate agli strumenti della tradizione popolare sia in Italia che fuori di Italia, rimane ad oggi unica nella nostra Regione; e sembra essere un naturale proseguimento delle ricerche che, dagli anni ’50 dello secolo scorso, avevano evidenziato come un importante elemento della nostra cultura musicale (ma non solo) passava attraverso le espressioni delle tradizione orale. Pionieri in Italia erano stati Diego Carpitella e Roberto Leydi, e proprio Roberto Leydi inaugura nel 1989 con una conferenza su ‘Costruttori di strumenti popolari nel Sud oggi’ le iniziative e le presenze di etno-organologia.

Sappiamo che gli strumenti della tradizione popolare nella nostra Regione sono presenti con una storia di artigianato anche di eccellenza (ad esempio gli organetti diatonici) e con un certo numero di studi di singoli ricercatori. Gli studi disponibili finora però non riflettono, a mio avviso, una consolidata attenzione o attitudine alla ricerca che abbia indagato sul loro uso e la loro presenza sul territorio, nonché quando necessario un approccio analitico alle prassi costruttive e alle caratteristiche timbrico/organologiche dei manufatti. E’ il principale dei motivi per cui non esiste, e non sarebbe potuto esistere, uno studio circostanziato sugli strumenti musicali utilizzati nella nostra tradizione orale. Dell’esistente fornisco una

bibliografia, peraltro già presente nel sito MUSA (http://www.musabruzzo.it/index.php?it/240/bibliografie-tematiche).

Questo significa che noi: coloro che si occupano di suoni e musica in Abruzzo hanno perlopiù una idea abbastanza imprecisa sulla presenza e l’uso di questi strumenti. Abbiamo dovuto aspettare le ricerche e le pubblicazioni di studiosi extra Regione (Febo Guizzi 1985 e Giancarlo Palombini 1989) per definire con precisione l’ambito di diffusione territoriale e l’uso della zampogna che da sempre nell’iconografia sembrerebbe in Abruzzo strumento identitario. Di altri strumenti che non siano la zampogna o l’organetto diatonico poco sappiamo: dove erano diffusi, chi li costruiva, quali erano le tecniche di costruzione e di esecuzione? Essi sono ormai quasi del tutto scomparsi in quanto irrimediabilmente legati a contesti economici agro-pastorali ed artigiani, sappiamo però che la loro presenza non era sostanzialmente diversa, per modalità d’uso e contesti, dalle aree limitrofe del centro-meridione.

Con la IV edizione del 1989 le biennali di Liuteria nel Mezzogiorno si aprono all’organologia popolare con una conferenza del prof. Roberto Leydi, allora ordinario di Etnomusicologia all’Università di Bologna, su : ‘Costruttori di strumenti popolari nel Sud oggi’. Nelle note di presentazione della brochure Francesco Sanvitale ringrazia per la collaborazione la Società Italiana di Etnomusicologia ribadendo l’intenzione delle biennali di Ortona di andare avanti nel confronto con le musiche delle tradizioni orali. La Società Italiana di Etnomusicologia era stata creata nel 1973 proprio per portare all’attenzione del mondo culturale italiano un settore di ricerca musicale che vantava già quasi trenta anni di lavoro sul campo e diversi riconoscimenti internazionali.

Nel 1993 la VI edizione presenta ‘La zampogna a chiave campana: la tradizione collianese’ con una conferenza ed una mostra degli strumenti, entrambe a cura di Ciro Caliendo (presidente del Centro di Documentazione Organologica ‘Vincenzo e Mariano Annarumma’ di Salerno) e la performance di due musicisti tradizionali. Nella stesso anno furono presentati anche la mostra e il documento video ‘Le corde armoniche di Salle’ dedicati alla secolare tradizione di Salle, in provincia di Pescara, nella preparazione di corde armoniche di budello. Entrambi i contributi erano a cura di Gianfranco Miscia e del Museo Civico di Salle. Questo delle corde armoniche è un esempio emblematico di come il mondo dell’artigianato e quello della musica colta hanno condiviso per secoli modelli produttivi e culturali, per dividersi inevitabilmente solo agli inizi del 1900, in occidente almeno.

Nella VII edizione del 1995 viene presentato il video ‘Evviva la Bbanda Terribble ! I tamburi di Pretara’, una produzione ZONE VIDEO-ISMEZ, a cura di Carlo Di Silvestre e con la regia di Stefano Monticelli. La presentazione fu preceduta da una introduzione dell’etnomusicologo Carlo Di Silvestre e vi fu l’esibizione dei suonatori di Pretara (Teramo). Ricordiamo che li tamurrë di Pretara nella Valle Siciliana (Teramo) è una delle realtà di musica tradizionale ancora vive e funzionali in Abruzzo; è un organico strumentale composto di: gran cassa, tamburo, rullante, piatti, piffero.

La VIII edizione del 1997 presentò, sempre a cura di Ciro Caliendo, alcune chitarre battenti e mandolini provenienti dal Centro di documentazione Organologica ‘Vincenzo e Mariano Annarumma’ di Salerno. La chitarra battente è uno di quegli strumenti di cui possiamo ipotizzare la presenza e l’uso nella tradizione popolare di alcune aree del nostro territorio, ma di cui non abbiamo traccia nei documenti audio raccolti sul campo e labili tracce nella memoria. Ricordiamo come le prime registrazioni audio collegate alla ricerca etnomusicale in Abruzzo sono degli inizi anni ’50 del 1900 e documentano solo parte di una tradizione culturale che stava scomparendo piuttosto velocemente. Un indizio, ma che rimane tale, dell’uso di questo strumento musicale è il quadro di Pasquale Celommi ‘Uno sposalizio abruzzese’ (1884-1886). Dell’uso di mandolini e violini nella musica popolare abbiamo invece ampia documentazione sia scritta che nei documenti audio. Il mandolino era parte di ensemble a plettro diffusi tra le classi artigiane, e il violino accompagnava spesso questi ensemble. Entrambi erano gli strumenti dedicati all’accompagnamento del ballo, prima che questo ruolo fosse preso dall’organetto diatonico. Possiamo supporre allora che la classe artigianale che utilizzava questi strumenti musicali fosse anche in grado di ripararli sommariamente e che per l’acquisto e per riparazioni più complesse si rivolgesse agli stessi liutai i cui lavori vediamo esposti nelle biennali di Ortona.

Con la IX edizione del 1999 il panorama di strumenti musicali e di musiche si apre alle tradizioni delle culture extraeuropee. A questa biennale partecipò un gruppo di aborigeni australiani coordinati dal C.A.S.M. (Centre for Aboriginal Studies in Music) dell’Università di Adelaide. Vi fu una esibizione di danze e una mostra di strumenti musicali.

Alla X edizione del 2001 furono invitate le cornamuse del The Royal Scots Regiment di Edimburgo che sottolinearono il ruolo delle cornamuse nella tradizione militare. Mentre per l’Abruzzo fu allestita la mostra: ‘Fischietti in terracotta del Museo delle Genti d’Abruzzo’ di Pescara. I fischietti zoomorfi sono, come le campanelle, un oggetto sonoro diffuso da sempre (i fischietti probabilmente dal Paleolitico Superiore) in tutto il mondo. Da noi fanno parte di un artigianato ‘povero’, marginale alla produzione di maioliche nei vari centri di Castelli, Rapino, ecc.; strumenti musicali che troviamo oggi in molte case e sulle bancarelle di ogni mercato ma considerati nella riduzione ad oggetto di gioco infantile, aldilà cioè di ogni connotazione simbolica o di un uso che possa essere apotropaico del suono,

Nella XI edizione del 2003 gli strumenti di organologia etnica furono quelli della tradizione africana: furono esposti flauti, percussioni, alcune mbira (un lamellofono conosciuto anche con il nome di sanza), alcuni tipi di cetre e archi musicali. Si esibì poi il ‘Soccajasco kids project’ del Dipartimento di Musica dell’Università di Pretoria, Sud Africa.

Nella XII edizione del 2005 furono esposti strumenti afro-cubani della collezione ‘Fernando Ortiz’ di Cuba, a cura di A. Alpizar e J. F. Rodriguez e si ascoltarono musiche e danze della tradizione cubana.

Una conferenza a cura di Andrea Passoni presentò ‘Il corno delle Alpi, il gigante della montagna’, ad essa fece seguito un concerto in cui il corno delle Alpi era accompagnato dal pianoforte.

Si parlò de ‘La tradizione dei suonatori di Viggiano (sulle tracce dell’arpa perduta)’ a cura di Enzo V. Allegro, con una esibizione di arpa viggianese e del gruppo folk di Viggiano. Questa piccola arpa diatonica portativa con non più di venti corde, è il simbolo di una tradizione che, a partire da metà settecento, spinse i suonatori di questo piccolo centro in provincia di Potenza in giro per il mondo, crescendo di numero e di fama fino ad esibirsi nelle capitali d’Europa e d’America. Contribuì anche a fare di Viggiano un centro rinomato di liuteria.

Infine nella XIII edizione del 2007 fu presentato uno strumento ad arco della tradizione musicale cinese: l’erhu, con un concerto della City Chamber Orchestra of Hong Kong, diretta da Andrew Massey. L’erhu fa parte della famiglia delle cetre e risale al XII-XIII sceolo d.c.. E’ costituito da un piccolo corpo e un lungo manico con due corde alla quinta. L’arco è fatto di crini di cavallo. L’erhu è oggi uno strumento molto diffuso in Cina ed è usato anche nella musica colta sia come solista che accompagnato dall’orchestra.

Alla tradizione musicale cinese fece seguito un programma ‘popular’ con la storia del popolo ebraico attraverso le canzoni in lingua yiddish, la musica klezmer, le melodie sefardite, le influenze russe, zingaresche, spagnole e arabe.

Le biennali di liuteria si chiudono nel 2009 ma l’ultima edizione non presenta attività che riguardano l’aspetto fin qui trattato.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI PER LE BIENNALI ‘LIUTERIA NEL MEZZOGIORNO’

Francesco Sanvitale, Liuteria nel mezzogiorno, ISMEZ 1989.

Alberto Leydi, Francesco Sanvitale, Marco Tiella, Progetto di Mostra sulla liuteria storica di strumenti ad arco nel mezzogiorno, Ortona 1989.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI PER GLI STRUMENTI MUSICALI ABRUZZESI

Giannattasio F., L’organetto, uno strumento musicale contadino dell’era industriale, Bulzoni, Roma 1979.

Franchi S., Documenti sulla musica di tradizione orale della valle Siciliana, in Documenti dell’Abruzzo Teramano, De Luca, Roma 1983, pagg. 97-110.

Fidanza G., La presenza della zampogna negli Abruzzi, Univ. degli Studi di Bologna a.a. 1984-85, tesi inedita (consultabile presso il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara).

Giovannelli V., I fischietti di Gino Alba di Castelli, Guardiagrele 1984.

Leydi R., Guizzi F., Le zampogne in Italia, Ricordi, Milano 1985.

Giovannelli G., Strumenti musicali popolari dell’area vestina, ed. Italica, Pescara 1988.

Palombini G., Le ciaramelle di Amatrice, libretto allegato a disco Albatros VPA      8494, 1989.

Leydi R., Osservazioni sulla musica popolare nell’area teramana, pp. 25-46 in AA.VV., Documenti dell’Abruzzo teramano, III,1, Tercas, Teramo 1991.

Nicolai M.C., Papi F., Abruzzo, in Paola Piangerelli (a cura di), La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio. La collezione dei fischietti di terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, De Luca, Roma 1995.

Quaranta C., L’organetto a due bassi nel teramano: dalla tradizione alla competizione, tesi inedita, Univ. degli Studi La Sapienza, Roma 1996-97.

Di Silvestre C., Evviva la banda terribile. I tamburi di Pretara, Istituto Tostiano Ortona-ISMEZ, Roma 1995.

Di Silvestre C., Tamburi pifferi e zampogne della valle Siciliana, Menabò, Ortona 1998.

Di Virgilio D., Balli popolari in Abruzzo: alcune trascrizioni e note, in Choreola, n. 21, IX 1999.

Spitilli G., La pratica dell’organetto (ddu’ botte) a Penna S. Andrea, tesina, Seminario di Etnomusicologia, Univ.

degli Studi La Sapienza, Roma a.a. 2001-2002.

Guizzi F., Guida alla musica popolare in Italia, vol. 3 Gli strumenti, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2002. Menzietti A., La musica tradizionale in Val Vibrata: panoramica dei generi attestati nelle registrazioni dal 1970 al 2003, tesi inedita, Univ. degli Studi di Pavia, a.a. 2002-2003.

Di Silvestre C., Strumenti musicali di tradizione popolare, Ed. Il Passagallo, Pineto 2004

Di Silvestre C., La zampogna zoppa in Abruzzo, pp. 155-168 in M. Gioielli (a cura di), La zampogna, gli areofoni a sacco in Italia, vol. I, Cosmo Iannone, Isernia 2005.

Gala G.M., Pascetta S., Di Virgilio D., Suoni che tornano. Colascione, tamburello ed altri strumenti della tradizione musicale a Caramanico e sulla Majella, Ed. Taranta, Firenze 2006.